lunedì 31 dicembre 2007

Guardando la luna

Articolo pubblicato sul forum degli studenti del liceo B. Croce
Raccontare degli anni di liceo trascorsi al Croce è come rivedere uno di quei documentari in bianco nero, che mandano ogni tanto in televisione, in tarda serata. Si vede un’Italia dimenticata persino da chi l’ha vissuta in prima persona. Siamo nella prima metà degli anni Settanta, un periodo di grandi cambiamenti e di grandi tensioni sociali, tutto appariva in movimento e la sensazione era quella di stare al centro, di essere – detto oggigiorno suona quasi ridicolo - protagonisti della storia.
A scuola si andava con quei vecchi autobus dell’Atac, verdi, come l’Alfetta della polizia, che stazionava quasi tutti i giorni davanti all’ingresso. I motorini erano pochi, tra questi il “vespino 50” era quello che andava di più, il casco non era obbligatorio, ma lo portavano in molti, più che altro tornava utile per le manifestazioni.
Il Croce, in quegli anni, era in via Palestro, all’angolo con San Martino della Battaglia, a due passi dalla Stazioni Termini. La collocazione lo rendeva facilmente raggiungibile anche dalla periferia, gli studenti arrivano non solo da quartieri borghesi come il Nomentano, Piazza Bologna, ma anche dalla Tiburtina e da Montesacro, zone più popolari. Perché in quegli anni le classi sociali, la borghesia, il proletariato, il sottoproletariato delle borgate, erano una realtà, una cosa che si vedeva, quasi tangibile, non serviva un manuale di sociologia per capire da dove arrivavi, quali erano le origini della tua famiglia.
A un certo punto - non esiste una data precisa - la moda ha coperto tutte le differenze, è bastato un paio di blue jeans per tracciare un nuovo confine, non più sociale questa volta ma generazionale. Erano pochi quelli con più di venti anni che indossavano i jeans; e dopo un po’ è bastato un eskimo, una borsa di Tolfa e un taglio di capelli più lunghi, per sentirsi “catalogato” come uno di sinistra. E a quei tempi si rischiava la vita persino per come ti vestivi, le aggressioni e gli scontri per motivi politici erano all’ordine del giorno. Allora la politica appassionava, coinvolgeva, divideva, nella società, nella scuola, persino dentro le singole famiglie, il più delle volte i figli erano contro i padri, ma capitava pure tra fratelli e sorelle di ritrovarsi, e non solo metaforicamente, su due barricate diverse. Il Croce era tra i licei più impegnati politicamente, per un lungo periodo si sono succedute occupazioni e autogestioni, quando per fare un’assemblea d’istituto dovevi scontrarti con il preside e la grande maggioranza dei professori (alcuni per fortuna erano con noi!), rischiando non solo le misure disciplinari, sospensioni e sette in condotta, ma addirittura l’intervento della polizia per sgomberare la scuola. La vicinanza della sede del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del MSI, di Via Sommacampagna, una finestra affacciava addirittura nel cortile della scuola, è stato un elemento in più di tensione. All’epoca i professori, anche se fortemente contestati, godevano di maggiore prestigio sociale; il più delle volte criticavamo i contenuti di quello che insegnavano, così per sfidarli si finiva per studiare anche di più. Con molti di loro si era instaurato un buon rapporto, fondato principalmente sulla stima reciproca, non poche volte ci hanno fatto da scudo in situazioni di pericolo, all’uscita da scuola.
Raccontate così sembrano storie di un altro mondo è in parte lo sono, allora in Portogallo, Spagna, Grecia non c’era ancora la democrazia, vedere crollare quelle dittature è stato motivo di gioia vera, avevamo manifestato per loro, fatto assemblee, collette. Alcuni dei miei compagni l’estate del 1976, fatta la maturità sono partiti per Lisbona, quando era in corso la “rivoluzione dei garofani”. A cosa avremmo fatto da grandi non ci pensavamo, eravamo troppo impegnati. In questo senso ci sentivamo partecipi di un movimento più grande, avevamo fiducia nel futuro e nel cuore la speranza di potere cambiare, di battere le ingiustizie del mondo. Forse ci saremo illusi, ma ci credevamo. Non mi piace fare paragoni tra i giovani di oggi e quelli di ieri, non ha senso, la mia poi è stata una generazione che ha finito per essere accecata dalla ideologia, che si è fatta trascinare in una spirale di violenza atroce, tanto che quegli anni sono spesso, ingiustamente, ricordati solo come gli “anni di piombo”.
Quelli che stiamo vivendo non sono tempi facili, mancano i riferimenti, la globalizzazione ha cancellato ogni confine e ha portato dentro casa nostra le guerre e la miseria, le bidonville sono sotto le nostre finestre. Ecco quello che manca, è la speranza nel futuro, la fiducia che si può cambiare quello che non va a scuola, in Birmania, nel mondo.

domenica 23 dicembre 2007

I Delirium cantano Jesahel

YouTube seguita ad essere una fantastica miniera di materiale degli anni Settanta. Questi sono i Delirium al Festival della canzone di Sanremo del 1972. Commovente fino alle lacrime: i figli dei fiori armati di bonghi e chitarre occupano il tempio della canzone melodica italiana. Con questo pezzo, intitolato Jesahel, il gruppo guidato da Ivano Fossati, arriva sesto in classifica e riesce a vendere oltre un milione di dischi. Quell'anno vince il festival Nicola di Bari cantando I giorni dell’arcobaleno.

mercoledì 19 dicembre 2007

Strenna natalizia

Anni 70 la musica, le idee, i miti
Se vi affascinano gli anni Settanta non fatevi scappare questo libro, è una strenna natalizia perfetta. Regalatelo a uno di quegli splendidi cinquantenni che possono dire con orgoglio “io c’ero”. Oppure a qualcuno di quei fighetti, presunti o tali, che concionano sugli anni ’80. Meglio ancora mettetelo sotto l’albero di Natale per i vostri figli, l’apprezzeranno di sicuro. Howard Sounes racconta “dieci anni di straordinaria creatività artistica” per la musica, l’arte, il cinema, la cultura in generale. La stessa idea che abbiamo noi di quel decennio.

domenica 16 dicembre 2007

Viaggio negli anni '70: le lotte radicali



Niente male anche questa raccolta di manifesti degli anni '70, rinvenuta su YouTube da un compagno di liceo che in quegli anni simpatizzava per il partito radicale "ma anche" per il Manifesto.

mercoledì 12 dicembre 2007

12 dicembre


Oggi è l’anniversario della strage di piazza Fontana.
Il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano, alle 16,37 , una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana, provocando la morte di sedici persone ed il ferimento di altre ottantotto. Quel terribile attentato ha rappresentato un tragico spartiacque nella storia del nostro Paese. Nel decennio successivo, gli anni settanta, una generazione di giovani parteciperà alle lotte studentesche e sociali con il pesante sospetto che dietro quella strage e le altre che seguiranno ci sia la responsabilità se non dello Stato di una parte di esso. Piazza Fontana passa alla storia come la Strage di Stato, e così sarà ricordata ogni 12 dicembre. Una ferita terribile per le istituzioni, mai completamente rimarginata.

domenica 9 dicembre 2007

Piazza di Spagna

Questa è Trinità dei Monti all'incirca nel 1973. La foto l'ho trovata girando su Flickr tra le immagini del gruppo Nostalgici degli anni '70&'80, non credo che necessiti di commenti....
'Na maglietta no?

venerdì 30 novembre 2007

Mauro Pelosi

Cantautori da anni '70
All’epoca, primi anni settanta o giù di lì, a Baglioni preferivo un cantautore come Mauro Pelosi, scoperto grazie ad una ragazza che frequentava il secondo anno del liceo Croce. La prima volta che l’ho sentito dal vivo è stato ad un concerto a Villa Borghese (o era a Villa Pamphili?), cantava Al mercato degli uomini piccoli. L’ho ritrovato ora su internet (“come è piccolo il mondo, signora!”), un giro veloce sul suo sito e come niente di ritrovi una sera d’estate su un prato ad ascoltare quel ragazzo con i capelli lunghi che cantava accompagnato solo da una chitarra. Detto così ha un effetto mieloso ma è il sito che trabocca di nostalgia, mirabile il racconto del concerto milanese di Joan Baez che fa allontanare la polizia.

giovedì 29 novembre 2007

Lampada osram (1975)



A me non piace e non piaceva, però come non ricordarla è quasi una "prova storica".

martedì 27 novembre 2007

Ci vediamo alla Lampada Osram

Farnese o Nuovo Olimpia?

I cinema che frequentavo principalmente negli anni Settanta erano il Farnese, a Campo dei Fiori, il Rialto a Via Quattro Novembre, e il Nuovo Olimpia in Via Lucina. Ci si beccava, con quelli del Croce, a Termini, alla "lampada osram" (un enorme lampione davanti all’ingresso principale della Stazione), a Villa Borghese sotto il “Cavallo”, oppure a Piazza Venezia sotto “il balcone”. A quei tempi entravi al cinema al primo spettacolo e ci passavi tutto il pomeriggio. Ti sparavi film come Fragole e Sangue o Woodstock anche due volte di seguito, magari seduto per terra perché non c’erano più posti. Persino un film diventava un evento da vivere tutti insieme.

domenica 25 novembre 2007

Tremate, tremate le streghe son tornate!

Come negli anni ‘70

Ieri a Roma hanno manifestato in 150.000 contro la violenza sulle donne. Erano più di 10 anni che per le strade della capitale non sfilava un corteo di sole donne. Più di un giornale oggi ha paragonato questa manifestazione a quelle dei “gloriosi anni settanta”, bastava vedere le foto pubblicate o quelle che girano sulla rete per capire che il confronto non è così avventato. Sono felice di vedere le femministe di nuovo in piazza, la violenza contro le donne esiste ed è in aumento, la protesta è giusta. Meno condivisibile ho trovato le contestazioni alle ministre, ai rappresentanti dell’opposizione di destra presenti al corteo e ad alcuni giornalisti, che facevano solo il loro lavoro di informare.

sabato 24 novembre 2007

One Flew over the Cuckoo's Nest


Qualcuno volò sul nido del cuculo è un film struggente uscito nel 1975, che racconta il ricovero in una clinica psichiatrica americana di un pregiudicato, interpretato da un giovane Jack Nicholson. La storia è una denuncia dura contro il carattere repressivo e carcerario dell’ospedale psichiatrico. In quegli stessi anni in Italia, con grande coraggio, medici e operatori sanitari, attraverso associazioni come Psichiatria Democratica, si battono contro i manicomi, per trasformarli da luoghi di detenzione in luoghi di cura, restituendo ai malati la dignità di esseri umani. Questo è uno di quei film formativi, che andavo a vedere con i miei amici di scuola, durante gli anni del Croce, e di cui poi discutevamo animatamente fino a tarda sera.

martedì 20 novembre 2007

Moda anni '70

Christie's presenta la collezione di T-shirt originali di quegli anni che verranno messe all'asta al "Rock and Pop Memorabilia". Anvedi! Grazie all’amico Mattafix che ci ha segnalato la gustosa notizia.

sabato 17 novembre 2007

I veleni di Cossiga


Se il Presidente Cossiga, con l’intervista al Corriere della Sera del 14 novembre scorso di Aldo Cazzullo, voleva fare veramente chiarezza sul caso Moro e smentire le “sciocchezze” circolate finora, non solo non c’è riuscito ma ha imbrogliato ancora di più la vicenda, com’è nel suo stile.
Ecco cosa racconta.

“Secondo Gallinari, erano mille i militanti di sinistra a conoscere la prigione di Moro. Nessuno ha parlato, tranne uno, lo studente dell’autonomia bolognese che attraverso Clò e Prodi ci indicò il covo di Moretti”. Detta così suona come se all’epoca lo sapessero tutti tranne che al ministero dell’interno, e forse per questo l’ex brigatista rosso Gallinari gli dice che sarebbe stato meglio affidarsi ai vigili urbani. Tanto a sentire il racconto di Cossiga, persino la Cia si rifiutò di collaborare.

Ad una domanda precisa risponde che Moro non temeva per la sua vita, eppure un secondo prima racconta che quando Andreotti ebbe l’incarico di formare il governo gli disse: “Che non ti salti in mente di rinunciare agli Interni. E’ la garanzia della tua sicurezza, e anche la mia”. In effetti Cossiga non pare preoccuparsi troppo di salvaguardare l’immagine della Democrazia Cristiana, a proposito dei tentativi fatti per salvare Aldo Moro dice: “Buscetta si stupì che la Dc, data la sua nota vicinanza alla mafia. Non se ne sia servita”. Deve invece aver utilizzato i suoi rapporti con la banda della Magliana, visto che per Cossiga il falso comunicato del lago della Duchessa “era una mossa per salvarlo”.

A poco invece servirono i piduisti che facevano parte del comitato di crisi al Viminale, “tutti protetti di Moro. E filoamericani” . D’altronde: “la P2 è una cosa seria, una loggia massonica che risale all’unità d’Italia, ricostruita dagli americani in funzione anticomunista”.

A questo punto qualcuno crede ancora alla favola dei misteri del caso Moro? E’ tutto chiaro, o no?

mercoledì 14 novembre 2007

Le verità di Cossiga

Il caso Moro
Il Presidente Cossiga non finisce mai di sorprendere. Oggi sul Corriere della Sera intervistato da Aldo Cazzullo sul caso Moro, è come un fiume in piena che travolge tutto e tutti, senza pietà per nessuno. Pesante, anzi pesantissimo con la famiglia di Moro, rivela nuove verità sul rapimento dello statista Dc e la sua gestione da parte delle Brigate Rosse: “in mille sapevano dov’era”.

lunedì 12 novembre 2007

Rino Gaetano



Ho avuto l’incredibile fortuna di ascoltare Rino Gaetano dal vivo, in occasione di una manifestazione canora fantastica, almeno per quello che ancora ricordo a distanza di più di trenta anni! Il posto era il cinema teatro Jolly, in Via della Lega Lombarda, qui a Roma, e l’iniziativa doveva servire a presentare una serie di giovani cantautori italiani ancora poco noti, come Lucio Dalla e Francesco De Gregori. Antonello Venditti cantò “Ciao uomo”, uscita con un 45 giri, che conteneva la più famosa “Roma capoccia”. Rino Gaetano si presentò con la sua “Ma il cielo è sempre più blu”. Era il lontano 1975.

martedì 23 ottobre 2007

Le stagioni di una volta

L’autunno era sempre caldo

E’ arrivato il freddo, all’improvviso, quasi con violenza. Le temperature sono scese al di sotto della media stagionale, la neve ha fatto la sua prima comparsa anche a bassa quota. Anche questi fenomeni appaiono un segno dei tempi, come dicevano i nostri nonni: “le stagioni non sono più quelle di una volta!”. Come dargli torto. La mattina si arrivava sotto scuola (al Croce), quasi sempre prima dell’orario ufficiale di entrata, le 8,30, per fare volantinaggio e attaccare qualche tazebao. A ottobre faceva fresco ma per scaldarsi era sufficiente una felpa o un maglioncino, l’autunno era ancora l’autunno, il generale inverno sarebbe arrivato più avanti.

“O giorni, o mesi che andate sempre via,

sempre simile a voi è questa vita mia.

Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale,

la mano di tarocchi che non sai mai giocare….”

lunedì 15 ottobre 2007

Il racconto di Giovanni Moro

Anni Settanta

Sugli anni Settanta è uscito per l'Einaudi un altro libro, l’autore è Giovanni Moro, figlio dello statista assassinato dalle Brigate Rosse. Aldo Cazzullo l’ha intervistato ieri sul Corriere della Sera, e devo dire che quello che ho letto l’ho trovato di grande interesse. Non solo perché rimango convinto che la vera storia del rapimento e dell’uccisione di Moro e della sua scorta non è stata ancora scritta, ma anche perché il libro tenta di ricostruire una visione complessiva degli “anni Settanta, che non possono essere ridotti al confronto ideologico e alla violenza politica: poiché furono anche gli anni delle riforme, dei diritti civili, della partecipazione”. Esattamente quello che sostengo su questo blog, insieme ad altri amici con i quali ho vissuto quel periodo.

Appena ho un minuto faccio un salto in libreria.

sabato 6 ottobre 2007

Cresciuto a pane e politica

Cresciuto a pane e politica, confesso oggi di avvertire una sensazione di spaesamento, è duro riconoscersi in questa ondata di antipolitica che attraversa il Paese. Negli anni di liceo passati al Croce, tutto era politica e tutto si spiegava con la politica, persino le amicizie, il sesso. Si proclamava solennemente: “il personale è politico!” e ci si comportava di conseguenza, o almeno ci si provava. D’accordo era un mondo diviso in due e certe tesi portate all’estremo finivano nel ridicolo come i matrimoni tra i compagni di alcuni “gruppi emme elle” (per fortuna, gente mai vista al Croce), oppure in tragedia. I morti degli anni settanta sono il frutto della logica aberrante che riduceva le relazioni allo schema “amico-nemico”. C’era però anche un aspetto positivo, la politica era vissuta come una ricerca continua di soluzioni, non c’era problema, dal quartiere ai conflitti internazionali, che non potessimo risolvere tutti insieme. La speranza non ti abbandonava mai… Detto così forse fa anche sorridere, non me la prendo, ci saremo pure illusi ma se poi uno fa il confronto con l’assenza di prospettive future, la solitudine, le paure negli adolescenti di oggi, viene quasi da dire, come fanno i vecchi, “si stava meglio quando si stava peggio”. Per chiudere, l’antipolitica fatta dal Corriere della Sera o dalla TV pubblica non mi piace ma come non sentirsi vicino a quei giovani di Locri che manifestano per la legalità? Grande è la confusione sotto il cielo…

domenica 30 settembre 2007

Quanti lutti


Il 30 settembre 1977, Walter Rossi, militante di Lotta Continua, veniva ucciso a Roma con un colpo di pistola esploso da un gruppo di estremisti di destra. Aveva solo 20 anni e come tanti ragazzi di quell’epoca è morto senza che la giustizia riuscisse a dare un volto ai suoi assassini. L'elenco delle vittime di quegli anni è lunghissima, di alcuni si è persa la memoria. Io stesso non mi ricordavo più del ferimento di Elena Pacinelli, eppure quella sera di trenta anni fa, Walter Rossi è morto proprio mentre distribuiva un volantino in cui si denunciava l’aggressione subita da quella ragazza. Le inchieste sono archiviate ma a tenere vivo il ricordo c’è ancora l’Associazione Walter Rossi.

sabato 15 settembre 2007

Aspettando Godot

E’ vero, è un sacco di tempo che non mi faccio più sentire con le mie storie sugli anni Settanta . Non mi sono stancato del blog, anzi finora mi sono divertito un mondo, e non c’entra neppure la “sindrome da crociera Costa”, quella sorta di stato depressivo che solitamente colpisce i lavoratori che rientrano al lavoro dalle ferie, anche quelle trascorse nei luoghi più banali (alla fine si sta sempre meglio in vacanza…). Soltanto aspettavo che qualcuno dei compagni di liceo, con i quali avevo progettato questa rievocazione degli anni di scuola, si facesse avanti e invece sono ancora qui ad aspettare. Per fortuna che c’è gente come Eskimo o Louis, anzi chissà se sono rientrati dalle ferie?

martedì 28 agosto 2007

Vacanze da hippy

On the road

«On the Road» (Sulla strada) di Jack Kerouac, il romanzo simbolo della Beat generation, compie quest’anno 50 anni. Tra gli anni ’60 e ’70, milioni di giovani si sono messi in viaggio per il mondo, con lo spirito di quel libro nel cuore. Quando sono partito per il mio primo viaggio, avrò avuto appena 15 anni. All’epoca non esistevano voli low cost, Bed and Breakfast, o i comodi camper iperattrezzati che si vedono ora in giro sulle autostrade. Si girava in autostop, tutt’al più in treno, seduti lungo i corridoi, altrimenti nello spazio davanti ai cessi (chiamarli gabinetti non si poteva). I treni erano quelli che riportavano gli emigranti dal Nord verso il Sud, pieni di gente accaldata, di famiglie numerose con tanti bambini. Per arrivare in Sicilia (la mia prima meta furono le Eolie) potevi metterci anche un giorno intero, quasi come adesso. Naturalmente sui traghetti si viaggiava solo sul “ponte”, per prendere la mia prima cabina con cuccetta ho dovuto mettere i capelli bianchi. Il sacco a pelo e lo zaino erano quelli militari che si compravano sui banchi del mercato di Via Sannio, per poche migliaia di lire, con 5.000 lire (meno di 2,50 euro) ti portavi via uno di quei zaini verdi enormi, scomodissimi, ai quali attaccavi pure la borraccia. Il più delle volte si faceva campeggio libero, sulle spiagge, nei boschi, dove capitava. Ho dormito in posti che a ripensarci oggi mi vengono i brividi. Io con la mia faccia da bravo ragazzo avevo l’incarico di girare a rassicurare le famiglie prima delle partenze. Non so a quante mamme ho promesso che non avremmo fatto l’autostop o dormito per strada. E all’epoca, incredibile, non esistevano neppure i cellulari, per chiamare mamma ci si arrangiava con quei telefoni pubblici, dove dovevi far scendere il primo gettone, premendo un pulsante, solo quando sentivi rispondere pronto dall’altra parte.

venerdì 27 luglio 2007

Riprendiamoci la musica


Ora c’è anche una foto! Il locale che si intravede è il garage usato come palestra del liceo scientifico Benedetto Croce, gli studenti, in alto, sono affacciati alla rampa d’ingresso, che – se non ricordo male – era chiusa da una normale saracinesca. La foto potrebbe essere stata scattata tra il 1974 e il 1975, e ritrae uno dei tanti concerti che organizzavamo a scuola, nei periodi di autogestione. A parte alcuni, più “alla moda”, vestiti in jeans come si usava a quei tempi, colpisce la massa anonima di studenti che si scorge alle spalle, con camicie a quadri e maglioncini a rombi. Sono in gran parte quei ragazzi di periferia, che venivano dalla Tiburtina e da altri quartieri simili, per studiare nel liceo del centro.

domenica 15 luglio 2007

Fate l’amore, non fate la guerra

Un demenziale remake

Questa estate 2007 a Roma si respira un’aria pesante, colpa dell’afa e delle spranghe recuperate da chissà quale armadio di famiglia. Questo demenziale remake, fatto di aggressioni, cortei, lapidi oltraggiate , non mi appassiona, con gli anni ’70, oltretutto, non c’entra nulla se non per il clima di odio e violenza che vuole riesumare. Un quotidiano ha titolato “slogan del passato che non passa”, io di tutto l’armamentario dell’epoca avrei preferito che si recuperassero giusto le parole d’ordine della stagione pacifista hippy, della serie: “fate l’amore, non fate la guerra!”.

lunedì 9 luglio 2007

Folgorino

Quelli di via Sommacampagna

Marco Damilano sull’Espresso ha intervistato Sergio Mariani, il primo marito di Daniela Fini. Il colloquio ovviamente gira tutto intorno a Gianfranco Fini, alla sua carriera di politico, che da giovane militante del Fronte della Gioventù (Msi), negli anni ’70, è diventa uno dei leader nazionale del centrodestra italiano. Il racconto è un tuffo indietro nel passato, perché “Folgorino” me lo ricordo bene quando veniva sotto il Croce: era un brutto segnale. Di quel missino, ex-legione straniera e ex-paracadutista, c’era da aver paura. Mariani di strada doveva farne poca, dalla vicina sede del Msi di via Sommacampagna 29 per arrivare a scuola gli bastava girare l’angolo, e quando arrivava non veniva certo da solo. Un giorno, in mezzo a un folto gruppo di “camerati”, uno addirittura con un alano enorme, fermi ad aspettarci all’angolo tra via Palestro e via San Martino della Battaglia, c’era uno spilungone, magro, con un soprabito lungo di pelle nera. Mariani nell’intervista racconta che Fini all’epoca, siamo tra il ’73 e il ’74, vestiva in trench o con un cappotto di pelle nera. Chissà se era proprio Fini?

In quegli anni, come ricorda Mariani, c’era un clima d’odio di cui oggi non si sente nostalgia. E’ bene ribadirlo, ogni volta, a scanso di equivoci.

venerdì 6 luglio 2007

Voglia di musica

Adesso vado in giro con le cuffiette e un lettore mp3 con 5 giga di musica, ma tra gli anni '60 e '70 ho ascoltato la musica anche con un registratore Geloso, simile a questo, mi ricordo, in particolare, che avevo dei nastri di rhyntm and blues. A differenza dei nostri genitori, noi avevamo un bisogno, quasi fisico, di musica, si ascoltava con tutti i mezzi disponibili all’epoca: radio, nastri, poca Tv e tanti dischi, 45 e 33 giri. Quelli poi sono stati gli anni dei grandi concerti di massa, dove naturalmente non incontravi neppure uno con i capelli bianchi o con più di quaranta anni. Soprattutto però si suonava, se non avevi una chitarra si faceva caciara con i bonghetti.

lunedì 2 luglio 2007

Prendeva il 409 e il 66 per andare al Croce

Ricorda Eskimo...

E’ arrivato un post così significativo che merita tutta la visibilità possibile.

Sono entrato al mitico liceo Croce quando il vento della contestazione studentesca era agli inizi e dalla vicina città universitaria ci arrivavano gli echi delle lotte dei nostri compagni (1968-69). Eravamo solo dei ragazzini. Molti di noi fino ad un anno prima frequentavano ancora le parrocchie che erano gli unici luoghi dove trovare un qualcosa di “organizzato” al di là delle partite di pallone nei cortili o i giri in bicicletta intorno al palazzo e di lotta di classe ancora non ne avevo sentito parlare. Per andare al liceo prendevo due autobus: il 409 ed il 66. Ho un flashback delle prime assemblee nel nostro “garage” a cui assistevo e quelle a cui partecipavano alcuni rappresentanti degli studenti del movimento studentesco universitario. Seguivo attentamente le loro tesi, le loro proposte, il loro entusiasmo e mi avvicinai al movimento, fino a quando, prendendo coraggio presi la parola anche io. Ero comunque già “predisposto” in quanto a casa mia tutti i giorni si leggeva L’Unità e Paese Sera e l’antifascismo era considerato un valore da difendere contro gli attacchi dei reazionari e i diritti del proletariato erano imprescindibili. E così da ragazzino inesperto sono diventato un ragazzo che leggeva Marx, Lenin e il Che, cantavo l’Internazionale, Bandiera Rossa e Contessa e avevo in tasca del mio eskimo la tessera della FGCI (che non era l’iscrizione ad una squadra di calcio) ma la Federazione Giovanile del Partito Comunista Italiano. Sono cresciuto nel nome della libertà e contro l’imperialismo americano a fianco del popolo del Vietnam. Ricordo le tante volte quando andavamo a fare le assemblee al liceo Tasso e la tristezza e la rabbia quando durante una nostra occupazione, dal vicino Duca degli Abruzzi lessi stupito uno striscione che recitava “né rossi e né neri nella scuola”. Ma scavando nella mia mente tornano le immagini delle assemblee dove partecipavano i rappresentanti dei movimenti operai e i collettivi “di piano” dove mi scontravo con i genitori di alcuni studenti che non capivano le nostre idee e le nostre speranze. E come non richiamare alla memoria i cortei che partivano da scuola per aggregarsi agli altri compagni del movimento studentesco a piazza Esedra.

Quando scendevo dall’autobus 66 dovevo passare davanti a via Sommacampagna e scrutavo con attenzione se c’era qualche fascio in agguato. Si arrivava davanti scuola e prima di entrare osservavamo i due plotoni dei celerini e dei carabinieri appostati ai lati della strada aspettando gli scontri con i fascisti.

Circa 25 anni fa il destino mi ha portato a lavorare a poche centinaia di metri da via Palestro e passando davanti al nostro liceo ho visto che c’era ancora lo stesso portiere. Sono entrato e gli ho detto che ero un ex studente: incredibile ma dopo pochi minuti lui mi ha riconosciuto e ha ricordato il mio nome. Ci siamo abbracciati e ha chiamato alcune persone che ancora lavoravano là ed abbiamo ricordato i tempi passati.

Ancora oggi se passo da quelle parti il mio sguardo va su quell’edificio diverso dagli altri di via Palestro fatto di vetrate e pannelli. Oggi non c’è più il “Croce” e per me quel palazzo non è solo un palazzo, ma un posto dove ragazzi come me degli anni 70 hanno creduto e lottato per qualcosa di importante: la libertà e l’uguaglianza. Una volta, passando con la macchina, mi sono fermato e l’ho fatto vedere a mio figlio che adesso frequenta un liceo scientifico e con un pizzico di orgoglio gli ho raccontato quello che suo papà faceva alla sua età in quella fantastica via Palestro.

Eskimo

(La foto è su http://www.flickr.com/photos/costabruna, ma che fine ha fatto il vostro eskimo? Per trovarne uno che fatica)

mercoledì 27 giugno 2007

Un’altra interrogazione sul Croce

Saccucci contro la preside del Croce
Questa invece è una interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei deputati niente meno che da Sandro Saccucci nel 1975 (una ricerca su google può servire ai più giovani per capire di chi stiamo parlando). Il deputato del Msi si rivolge al governo per sapere se non ritenga opportuno procedere alla sospensione della professoressa Marinari preside del liceo Croce “gia indiziata di reato per altri fatti di violenza avvenuti recentemente nel suo liceo”.

domenica 24 giugno 2007

Il Cub del Croce

No ai decreti delegati

A meta degli anni Settanta gli studenti medi di tutta Italia si mobilitano contro l’introduzione dei “decreti delegati”. Nel 1973 è stata approvata una legge delega di riforma dell'organizzazione del sistema scolastico e il 31 maggio 1974 – ministro della pubblica istruzione Franco Maria Malfatti (Dc) – sono emanati cinque decreti delegati di attuazione che, oltre a riformare molti aspetti dello stato giuridico del personale scolastico, introducono per la prima volta nel sistema di istruzione nazionale gli organi collegiali. Scioperi, occupazioni e autogestioni sono promossi dalle organizzazioni studentesche (Cpu, Cub, Cps) della sinistra extraparlamentare, il Manifesto, Avanguardia Operaia e Lotta Continua, perché “il principio della delega porta alla delegittimazione dell’assemblea”.

La foto del Cub del liceo Croce potrebbe essere stata scattata il 23 gennaio del 1974, ma un’altra grande manifestazione c’è stata il 30 novembre dello stesso anno (“a Roma eravamo in piazza in 70.000!”). Dopo tanto tempo non è facile mettere ordine con precisione ai ricordi.

domenica 17 giugno 2007

Quando il mondo era diviso in blocchi

Buoni e cattivi
Quando sono arrivato al liceo Croce avevo già una mia idea del mondo, con i buoni tutti da una parte e i cattivi dall’altra. Nel mio caso, i buoni erano quelli di sinistra, gli antifascisti, quelli che stavano dalla parte dei più deboli, i proletari, come si diceva all’epoca. Dall’altra parte, con i cattivi c’erano i fascisti, quelli di destra, una categoria onnicomprensiva, una sorta di pentolone dove finivi per ficcarci dai missini, ai dicci, fino ai liberali. Le aggressioni quasi quotidiane che partivano dalla sede del Msi di via Sommacampagna non facevano che confermare la mia tesi. Ero così convinto di questo che davanti a delitti come il rogo di Primavalle, dove arsero vivi i figli del segretario della locale sezione missina, pensavo: “una cosa così terribile non possono certamente averla fatta i compagni”. Non era solo ingenuità la mia - ero un “pischello” di 15, 16 anni - pesava anche lo schematismo ideologico della sinistra degli anni Settanta, per cui la violenza, come quella dei partigiani, era legittima, però non doveva superare certi limiti e soprattutto doveva avere il consenso popolare. Oggi a chi non ha vissuto quel periodo, quando il mondo era diviso in due blocchi, questo modo di ragionare può sembrare quello di un folle, ma le cose andavano così, anche perché, è giusto ricordarlo, in molti - politici, servizi segreti deviati, terroristi - hanno operato per favorire lo scontro nel nostro paese.

(La foto dovrebbe essere del 1977)

mercoledì 13 giugno 2007

Una ricostruzione dell'uccisione di Giorgiana Masi


La prima parte è ripresa da una trasmissione di Rai2, la seconda dall'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico. You Tube è una fonte inesauribile o quasi, merito anche di persone come fmf1943

venerdì 8 giugno 2007

La meglio gioventù della destra

Campo Hobbit

In tema di anniversari, per par condicio, mi pare corretto ricordare il primo Campo Hobbit a Montesarchio, in provincia di Benevento, era l’11 giugno 1977. Domani a Benevento previsto un raduno - contestato dall’estrema sinistra - per ricordare, come scrive la Repubblica di oggi, “la Woodstock della giovane destra”.
Nessuno si faccia male! Considerata pure l’età.

giovedì 7 giugno 2007

I ventenni del '77

Storie di reduci

Beppe Severgnini, sul Corriere della Sera di oggi, scrive di un altro libro dedicato ai ragazzi che avevano vent’anni nel 1977. Sono quaranta storie raccolte da un coetenao - Enrico Franceschini, classe 1956 - tra coetanei: Avevo vent'anni - Storia di un collettivo studentesco 1977-2007 (Feltrinelli). Scrive Severgnini: “è un buon libro. L'ho aperto con curiosità, l'ho letto con interesse e l'ho finito con malinconia… e mi ha aiutato a capire quello che mi sono perso. Ma anche quello che ho rischiato”. Alla fine però Severgnini sembra soddisfatto di essersi risparmiato le barricate degli anni ’70, anche se conclude citando Gionni, uno dei quaranta reduci: “L'Italia di oggi mi sembra un paese fermo, senza coraggio, in cui non si muove niente. Un paese vecchio, che ha paura”.

lunedì 4 giugno 2007

Alterchi tra studenti del Croce



Gli incidenti a scuola arrivano in Parlamento

In una interrogazione presentata da due deputati del Pci , siamo alla Camera durante la VI legislatura, si chiede al Governo quali misure si intendano prendere per eliminare sia l’attività dei gruppetti squadristici, sia per impedire l’accesso all’interno della scuola da parte dei frequentatori della sede del Fronte della Gioventù (Msi) di via Sommacampagna. I fatti di cui si parla risalgono al 1972, e il liceo è lo scientifico Benedetto Croce di Via Palestro, allora a due passi dalla Stazione Termini. All’epoca, se non ricordo male, ero iscritto da poco al secondo anno. Gli “alterchi” si ripetevano quasi ogni giorno, per quanto fossi fortemente coinvolto da quelle vicende, ogni giorno rischiavi veramente di farti rompere la testa, non immaginavo neppure che qualcuno in Parlamento si occupasse di noi studenti. Naturalmente per il governo la situazione era sotto controllo, le manifestazioni di intemperanza della estrema destra e della estrema sinistra erano “sempre neutralizzate, sin dal nascere, dal tempestivo intervento dei servizi di vigilanza predisposti dalla vicina questura”.

giovedì 31 maggio 2007

Erano gli anni Settanta

Sofri spiega quella mazzetta di omicidi che gli fu chiesta

Adriano Sofri, sul Foglio del 29 maggio, ha raccontato di un suo colloquio - “un po’ più di cinque anni dopo il 12 dicembre 1969 di piazza Fontana, rinominato (e anestetizzato) ormai ufficialmente Strage di stato” - con l'ex responsabile dell'Ufficio affari riservati del Viminale, Federico Umberto D'Amato, il più noto e influente titolare dei servizi italiani del dopoguerra. “Quel signore non mi propose di prender parte a un omicidio, ma, seppure in un linguaggio da dopobarba, e senza avere il tempo di entrare nel dettaglio, un mazzetto di omicidi”, destinati a porre fine all'attività del gruppo terroristico Nap (Nuclei armati proletari), che tra i suoi membri aveva anche alcuni ex esponenti di Lotta Continua… In America, da storie come queste ci avrebbero tirato fuori un romanzo di successo e poi uno di quei filmoni che ti tengono con il fiato sospeso fino all’ultima scena. A noi invece non rimane altro che tanta amarezza, ma che razza di paese è questo, quanti buchi neri ci sono nella nostra storia? E chi ci dice che sia tutto finito?
Comunque, qualcosa notizia in più su questa incredibile vicenda, la potete trovare sul blog: georgiamada.


mercoledì 30 maggio 2007

17 febbraio 1977


Il segretario generale della Cgil Luciano Lama tenta invano di tenere un comizio all'interno dell'Univerisità di Roma. Il documento proviene dall' Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, e l’ho trovato su You Tube. A questo proposito merita un plauso fmf1943

lunedì 28 maggio 2007

Adriano Sofri

Lettere a un giovane apprendista assassino

“Si chiede perché in Italia sia durata tanto la violenza: perché erano durate tantissimo le parole. Erano state a lungo parole che rispondevano a fatti. C’erano i manifestanti da una parte, e scandivano slogan, cantavano e gridavano a squarciagola. Di fronte altri manifestanti, altri slogan, altri canti. In mezzo, nemico, lo stato.”

il Foglio, 26 maggio 2007

domenica 27 maggio 2007

Gli anni '70 su Wikipedia

Giorgiana Masi
Alla fine sono caduto in questa ragnatela incredibile delle commemorazioni. Moro, Impastato, Calabresi, non fai in tempo a ricordare una vittima degli anni Settanta che ti viene in mente subito un altro nome. Una catena di sangue impressionante. Il 12 maggio scorso ricorreva il trentennale dell’assassinio di Giorgiana Masi, cercando in rete qualche notizia sono finito su Wikipedia, dove, con sorpresa ho scoperto che ci sono una marea di notizie e link interessanti su quel periodo.

venerdì 18 maggio 2007

Un libro dalla parte delle vittime

Vivere dopo il naufragio

Mario Calabresi racconta la sua famiglia. E le altre

Chiara Geloni

L'unica cosa che Mario Calabresi non racconta, nel suo Spingendo la notte più in là (Mondadori, euro 14,50) è se a un certo punto l’ha capito o soltanto intuito, se insomma lo sa che un libro così lo poteva scrivere soltanto lui. Se l’ha scritto anche per questo, per una specie di dovere civico, oltre che per tutto il resto che si immagina: il bisogno di guardare in faccia, alla fine di un lungo percorso, una storia come la sua, innanzitutto. La determinazione di raccontare chi è stato suo padre, vittima di una condanna mediatica incredibile oltre che della violenza di chi l’ha ucciso, oggetto di un pregiudizio che sopravvive alla sua stessa morte, agli anni, alle sentenze: «Calabresi assassino», capita ancora oggi di sentir dire in qualche corteo, a Mario è capitato. Poi le storie degli altri, delle persone incontrate, e l’istinto da cronista di raccontarle. Infine la rabbia, il dolore, il coraggio.

Scrivere questo libro era certamente un bisogno, e Mario Calabresi non lo nasconde: gli scaffali delle librerie sono pieni di libri sugli Anni di piombo, spiega. Quasi tutti scritti dagli ex terroristi: «È un autentico filone culturale», gli dice uno dei suoi interlocutori nel libro. Gente che si è «ravveduta, anche se non pentita», come proprio qualche giorno fa abbiamo letto di una protagonista di quelle vicende. Persone che i giornali intervistano e descrivono nella loro nuova vita: volontariato, impegno sociale: quasi come degli ex combattenti indomiti. Senza che mai si racconti che cos’hanno fatto prima: dei delitti, delle responsabilità, dei morti non si parla.

Per questo, per Mario Calabresi, scrivere un libro così era anche un dovere. Non solo, ovviamente, perché lui, oltre che il figlio del commissario Calabresi, è un giornalista. Ma perché le circostanze della vita, i suoi meriti prima di tutto, lo hanno portato a essere uno di quelli che i giornali li fa, un giornalista del giro che conta. Un capo, e per giunta un capo di Repubblica: il giornale – autorizza a scriverne la schiettezza con cui Mario nel suo libro affronta l’argomento – il giornale che pubblica Sofri. Calabresi non è il (solito?) “parente della vittima” che contesta da fuori il sistema dei grandi giornali. Lui è uno che ha il peso, il ruolo e l’autorevolezza per farsi sentire, e in ogni modo, per il “sistema”, è uno con cui bisogna fare i conti. Infatti la sua presenza in questo mondo è già, di per sé, un segno di contraddizione, un invito implicito a un supplemento di riflessione: e il libro è pieno di episodi, di gaffe e di atti di sensibilità, compiuti da giornalisti cui è capitato di lavorare con Mario, di trovarsi a maneggiare la sua storia avendolo seduto accanto. Ora, con il libro, questo compito viene assunto in modo esplicito, apertamente: i “parenti delle vittime” non sono una categoria astratta, sono persone: sono io, dice questo libro a noi professionisti della cronaca, prima ancora che ai nostri lettori.

Non è per caso che a Mario Calabresi è capitato questa specie di dovere, ed è l’altro motivo per cui questo è un libro bellissimo e importante: qualche anno fa infatti lui stava per dire di no all’offerta di Repubblica, per rispetto della sua storia e di sua madre. Un politico di centrodestra, alla camera, l’aveva amichevolmente avvertito, rimettendolo al suo posto, nel ruolo che il destino gli aveva assegnato: «Tuo padre si starà già girando nella tomba», gli aveva detto.

Il dialogo in proposito tra Mario e sua madre, nella cucina cuore della casa milanese di lei, è qualcosa di così intimo e prezioso che è giusto riservarne la lettura a chi vorrà affrontare il libro per intero. Basti dire che è stato quello il momento in cui lui ha deciso di rifiutare lo schema, di andare: di essere libero. E non è che uno dei tantissimi momenti in cui questa donna, rimasta vedova a venticinque anni con due bambini piccoli e un altro in arrivo, rivela nel racconto del figlio una prodigiosa capacità di andare avanti «scommettendo sulla vita», testimoniando senza fronzoli e senza protagonismi le due gigantesche verità in cui crede: che la vita è più forte della morte e che l’amore vince sull’odio e sul rancore. Viene in mente la citazione del cardinale Tettamanzi a Verona: «È meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarlo senza esserlo», a proposito di Gemma Capra Calabresi, della sua fede vitale, concreta, antiretorica, incarnata nel quotidiano di un’esistenza segnata dalla tragedia e allo stesso tempo piena di gioia.

Così, a causa di tutto questo, alla fine Mario Calabresi ha scritto, ha dovuto scrivere, questo libro. Con il suo stile asciutto da giornalista anglosassone, con le sue precise parole da ex cronista di agenzia, mettendoci dentro tutto il suo mestiere e tutta la sua vita. Ed è capitato che alla fine il libro uscisse mentre il parlamento diceva il sì definitivo all’istituzione della Giornata della memoria delle vittime del terrorismo, che dal prossimo 9 maggio, trentennale dell’omicidio di Aldo Moro, forse contribuirà a fare dell’Italia un paese un po’ più capace di vivere i suoi lutti collettivi. Se andrà così, Mario e la sua famiglia sapranno esserne felici. Ma non dimenticheranno per questo, e non sarebbe giusto lo facessimo noi, quanta fatica si fa a lasciarsi «strappare alle onde» dopo un naufragio.

(Europa, 15 maggio 2007)


lunedì 14 maggio 2007

Peppino Impastato


I cento passi

Nella notte tra l'8 e il 9 maggio 1978, lo stesso giorno dell'assassinio di Aldo Moro, Peppino Impastato, giovane militante di Democrazia proletaria e fondatore di radio Aut, viene ucciso da Cosa Nostra, a causa delle sue battaglie contro la mafia. Per questo delitto è stato condannato all’ergastolo il boss Tano Badalamenti.

mercoledì 9 maggio 2007

9 maggio 1978

Il 9 maggio del 1978, dopo 55 giorni di prigionia, Aldo Moro viene ucciso dalle Brigate Rosse. Il corpo viene ritrovato nel cofano di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani, emblematicamente a metà strada tra Piazza del Gesù (dov'era la sede nazionale della Democrazia Cristiana) e via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano), come un'ultima simbolica sfida alle forze di polizia ed alle istituzioni democratiche.

sabato 5 maggio 2007

Mio fratello è figlio unico

Il Fasciocomunista

L’ultimo film di Daniele Lucchetti, Mio fratello è figlio unico, tratto dal libro “Il Fasciocomunista” di Antonio Pennacchi, racconta la storia – ambientata nella provincia italiana degli anni ’60 e ’70 - di due fratelli Accio (Elio Germano) e Manrico (Riccardo Scamarcio), uno fascista e l’altro comunista. Il film è delizioso, commovente l’interpretazione di Elio Germano, ma sono tutti bravi, Riccardo Scamarcio, Angela Finocchiaro, pure Luca Zingaretti, merita gli applausi anche quando fa il fascista. La vicenda di Accio e Manrico mi ricorda quella di tante altre famiglie degli anni Settanta, che ho conosciuto in prima persona, dove incontravi fratelli e sorelle divisi dalla passione politica, spesso fino ad arrivare alle mani, ma comunque uniti dall’affetto.

giovedì 3 maggio 2007

«1977-2007 Se io avessi previsto tutto questo »


Diario 1977

E' in edicola un numero speciale di Diario, con un dvd, che contiene due documentari di Antonello Branca. Tra le tante cose pubblicate, nella rivista, diretta da Enrico Deaglio, segnaliamo: L’ultimo anno di Aldo Moro di Guido Bodrato, e La questione socialista di Luigi Necco, sul rapimento di Guido Martino.

domenica 22 aprile 2007

Liberazione vuole Mussi non la Figc anni ‘70

Dalla Figc al Pd

Stefano Menichini, il direttore di Europa, il quotidiano della Margherita, è uno che sa degli anni Settanta, anche per esperienza personale, ne scrive quindi con cognizione. L’ultima volta, l’ha fatto ieri, sabato 21 aprile, non a caso. In questo fine settimana infatti si sono tenuti i congressi dei DS e dei DL, per dare il via al Partito democratico, dopo mesi duranti i quali si è fatto un gran parlare di “sinistra”, del suo futuro e del suo passato. La pubblicazione dei fascicoli di Liberazione sul decennio “in cui il futuro cominciò” hanno fornito diversi spunti in più al dibattito. Menichini però, pur apprezzando il lavoro di ricostruzione (“l’analisi è accurata, dettagliata”) si è accorto di una certa dose di strumentalità dell’operazione editoriale, ben sintetizzata nel titolo dell’articolo: “Liberazione vuole Mussi non la Figc anni ‘70” .

giovedì 19 aprile 2007

«’70. Gli anni in cui il futuro incominciò»

In edicola il n. 11/1979

Tra gli eventi celebrati nell’ultimo numero, la pubblicazione del settimanale politico di satira il Male. Uno dei giornali più scandalosi e dissacranti della storia dell’editoria italiana. Famosi erano i suoi falsi, riproduzioni di quotidiani nazionali con notizie incredibili, sparate in prima pagina, come l’annuncio dell’arresto dell’attore Ugo Tognazzi, accusato di essere il capo delle Brigate Rosse. Durante un mio lungo soggiorno all’estero, ogni tanto riuscivo a recuperare qualche numero del giornale. A quasi trenta anni di distanza ricordo ancora, con le lacrime agli occhi per le risate, lo stupore dei miei amici “emigranti” e di quelli inglesi, davanti ad una perfetta riproduzione del Corriere della Sera che annunciava all’atterraggio di una astronave aliena.

martedì 17 aprile 2007

«’70. Gli anni in cui il futuro incominciò»

Gli anni di piombo

Sono dieci gli allegati al quotidiano di Rifondazione Comunista, Liberazione, dedicati agli anni Settanta. Uno per ogni anno, ad eccezione del 1977, che ha avuto l’onore di due numeri. Ogni fascicolo, al di là dei contenuti rifondaroli, è una scossa alla memoria, che spinge i ricordi a galla. Nel n.7, ad esempio, c’è un’intervista a Alberto Grifi, regista del film-documentario: “Il festival del proletariato giovanile al Parco Lambro di Milano, 1976” . Nei n. 8 e 9, dedicati al ’77, i racconti per immagini, densi di nostalgia per gli anni che furono, del fotografo Tano D’Amico, e i fantastici fumetti di Andrea Pazienza. Il n. 10, con le foto drammatiche che riprendono gli agenti della scorta di Moro assassinati dalle BR, ci riporta al 1978. Il numero si chiude con un pezzo di Marco Philopat che ricorda Fausto e Iaio, due giovani del centro sociale Leoncavallo di Milano, vittime anche loro della violenza di quei tempi. Sono gli anni di piombo.

venerdì 13 aprile 2007

Eugenio Finardi - La Radio (Parco Lambro 1976)

E’ morto Vonnegut!

Era l’autore di Mattatoio n. 5

Lo scrittore americano Kurt Vonnegut è morto mercoledì a New York, aveva 84 anni. Oggi lo ricordano tutti i grandi quotidiani, riservandogli ampi spazi nelle pagine della cultura. Ho notato però che molti, in particolare tra i colleghi più giovani dell'ufficio, non sanno chi fosse. Non mi stupisco, il suo romanzo più famoso Mattatoio n. 5, scritto nel 1969, fu portato sullo schermo cinematografico nel 1972 da George Roy Hill, è diventò subito un cult movie per la mia generazione, una favola pacifista uscita mentre gli Stati Uniti erano impegnati nel conflitto del Vietnam. Arrivederci sul pianeta Tralfamadore

martedì 10 aprile 2007

Guida alle fonti per la storia dei movimenti

Archivio dei movimenti

Sul sito della Fondazione Lelio e Lisli Basso la Guida alle fonti per la storia dei movimenti in Italia (1966-1978), frutto di un censimento promosso dalla Fondazione stessa e dalla Direzione generale per gli archivi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac), e pubblicato dalla stessa Direzione generale nel 2003. Le informazioni della Guida sono state riprese, trasformate in linguaggio web e aggiornate. “La banca dati è stata strutturata in modo da essere facilmente aggiornabile. Le informazioni sui nuovi fondi e su nuovi istituti conservatori saranno periodicamente inserite in modo da offrire agli studiosi un panorama il più possibile aggiornato delle fonti documentarie utilizzabili per lo studio della stagione dei movimenti”. E’ una guida alle fonti ovviamente, non aspettatevi foto, film o documenti sonori, almeno per il momento.

sabato 7 aprile 2007

Vestivamo beat


Capelloni in jeans


Non ricordo il momento esatto ma ad un certo punto abbiamo iniziato a vestirci in modo differente dai nostri genitori. I capelli hanno cominciato ad allungarsi, piano piano, fino a lambire il colletto della camicia, coprendo la nuca, fino a poco tempo prima tosata a colpi di macchinetta da barbieri che sembravano aver fatto pratica nelle caserme militari. Qualcuno aveva chiesto il permesso di lasciarsi crescere le basette per il concerto romano dei Beatles, al Teatro Adriano a Piazza Cavour, nel lontano 1965, e poi non le aveva più tagliate. I pantaloni si allargavano a zampa di elefante e si abbassavano alla vita, si portavano con cinghie di cuoio lavorato, ma la rivoluzione arrivò con i primi blue-jeans. Per mio padre quelli erano i pantaloni dei vaccari, una sorta di divisa, che ti distingueva dagli altri. Li portavano i beat, gli hippy, i ribelli, non avresti trovato un vecchio di trenta anni con i jeans neppure a pagarlo. Comprarli non era facile, a Roma andavi a cercarli a Campo dei Fiori, a Via dei Chiavari, oppure in un negozietto tra la Stazione Termini e Porta Pia, ci entravi scendendo da una porticina per una scala stretta e ripida. All’inizio si indossavano blue scuro, così come li compravi, poi abbiamo iniziato a scolorirli. Li buttavi nella vasca con l’acqua calda e li strofinavi con la pietra pomice, fino a stingerli, per dargli un aspetto vissuto. Dalla zampa di elefante si è passati al jeans a cicca, stretti stretti in fondo. C’erano due partiti quello dei Levì’s e quello dei Wrangler. Io ero dei Levi’s che portavo qualche volta con un paio di stivaletti.

lunedì 2 aprile 2007

Magia Rossa

Zombi di tutto il mondo unitevi!

Non è una malattia, ma gira e ti rigira, gli anni ’70, mi tornano tra le mani anche quando penso ad altro. Mi è capitato leggendo un sorprendente romanzo di Gianfranco Manfredi, Magia Rossa, che mette insieme zombi e lotta di classe. Forse ho soltanto peccato di ingenuità, visto pure che mi ricordavo benissimo cosa cantava Manfredi in quegli anni.
Nella postfazione al suo libro, Manfredi scrive: "Non ho mai avuto la presunzione di voler scrivere un romanzo che sintetizzasse e "chiudesse" gli anni Settanta e profetizzasse il rogo generazionale (parlo della mia generazione, ovviamente) degli Ottanta. Se fossi partito da una premessa del genere, non sarei probabilmente arrivato da nessuna parte. D'altro canto, è ovvio che, alla fine, queste cose ci sono, perché se qualcuno le ha notate, vuol dire che ci sono."

lunedì 26 marzo 2007

«’70. Gli anni in cui il futuro incominciò»

In edicola i n. 5 e 6/1974 e 1975

Sono usciti in edicola altri due numeri dell'allegato al quotidiano di Rifondazione Comunista, Liberazione, dedicato agli anni Settanta. C'è un sempre un sacco di cose da leggere, più o meno interessanti. Alcuni pezzi sono dei "polpettoni" poco digeribili, scritti in stile anni '70. Sinceramente credo le cose più godibili sono le fotografie, tutte rigorosamente in bianco e nero, che restituiscono l'atmosfera di quel periodo: le gonne a fiori, i pantaloni scampanati, le periferie con i palazzoni, la polizia con le vecchie divise. L'Italia, in bianco e nero, di quel periodo. Gran parte delle foto, quasi tutte forse, sono di Tano D'Amico.

domenica 11 marzo 2007

«’70. Gli anni in cui il futuro incominciò»

In edicola il n.4/1973

Nell'aprile del 1973, con la firma del contratto di lavoro dei Metalmeccanici, sono riconosciute ai lavoratori 150 ore lavorative retribuite, ogni tre anni, ad uso “scolastico e culturale”, purché essi ne mettessero altre 150 del proprio tempo libero. Paola Melchiori, nel supplemento n. 4, del quotidiano di Rifondazione Comunista, Liberazione, dedicato agli anni Settanta- ci racconta come “in due anni 100.000 lavoratori metalmeccanici tornarono a scuola, seguiti ben presto da altre categorie di lavoratori, poi da disoccupati e casalinghe”. Tra gli altri articoli, un pezzo di Paolo Hutter, che, poco più che ventenne, si trova in Cile all’epoca del golpe di Pinochet, e rinchiuso per tre settimane nello Stadio Nazionale.

lunedì 26 febbraio 2007

«’70. Gli anni in cui il futuro incominciò»


In edicola il n.3/1972

Sull’ultimo numero del supplemento, del quotidiano di Rifondazione Comunista, Liberazione, dedicato agli anni Settanta, tra i tanti articoli - tutti utili, anche quelli meno condivisibili, per rinfrescare la memoria - uno è dedicato alla rivista di fumetti (e non solo) Linus. Nata nell’aprile del ’65, Linus è stata “la rivista di una generazione, di un’epoca, di un movimento (nell’accezione più ampia possibile)”.

domenica 18 febbraio 2007

Lavorare con lentezza


Giornata mondiale della lentezza

Domani 19 febbraio, “giorno di san va...lentino”, si celebra la giornata mondiale della lentezza. Segnalate sul sito dell’associazione “L’arte del Vivere con Lentezza” le tante iniziative che si svolgeranno anche nel nostro paese. L’occasione è buona per ricordare una canzone scritta da Enzo Del Re, nel lontano ’74, ben trentatre anni fa: «Lavorare con lentezza» . L’autore è un personaggio originalissimo, come strumento di accompagnamento aveva solo una sedia e come cachet chiedeva il minimo sindacale della paga di una giornata di lavoro di un metalmeccanico. Un antesignano della lotta per riprenderci il nostro tempo.
Per tredici mesi Radio Alice di Bologna, considerata l'emittente del Movimento del '77, utilizzò come sigla iniziale e finale dei programmi proprio «Lavorare con lentezza» (tratto dall'album «Il Banditore») del cantastorie di Mola di Bari. Ed è per questo che il regista Guido Chiesa, ha voluto utilizzare la canzone come titolo e brano portante del film omonimo.

Lavorare con lentezza ("lavorareconlentezza.mp3", 1 MB)


Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo
chi è veloce si fa male e finisce in ospedale
in ospedale non c'è posto e si può morire presto

Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo
la salute non ha prezzo, quindi rallentare il ritmo
pausa pausa ritmo lento, pausa pausa ritmo lento

sempre fuori dal motore, vivere a rallentatore

Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo
ti saluto ti saluto, ti saluto a pugno chiuso
nel mio pugno c'è la lotta contro la nocività

Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo

Lavorare con lentezza
Lavorare con lentezza
Lavorare con lentezza
Lavorare con lentezza

(Dal sito: il Deposito. Canti di protesta politica e sociale)