venerdì 27 luglio 2007

Riprendiamoci la musica


Ora c’è anche una foto! Il locale che si intravede è il garage usato come palestra del liceo scientifico Benedetto Croce, gli studenti, in alto, sono affacciati alla rampa d’ingresso, che – se non ricordo male – era chiusa da una normale saracinesca. La foto potrebbe essere stata scattata tra il 1974 e il 1975, e ritrae uno dei tanti concerti che organizzavamo a scuola, nei periodi di autogestione. A parte alcuni, più “alla moda”, vestiti in jeans come si usava a quei tempi, colpisce la massa anonima di studenti che si scorge alle spalle, con camicie a quadri e maglioncini a rombi. Sono in gran parte quei ragazzi di periferia, che venivano dalla Tiburtina e da altri quartieri simili, per studiare nel liceo del centro.

domenica 15 luglio 2007

Fate l’amore, non fate la guerra

Un demenziale remake

Questa estate 2007 a Roma si respira un’aria pesante, colpa dell’afa e delle spranghe recuperate da chissà quale armadio di famiglia. Questo demenziale remake, fatto di aggressioni, cortei, lapidi oltraggiate , non mi appassiona, con gli anni ’70, oltretutto, non c’entra nulla se non per il clima di odio e violenza che vuole riesumare. Un quotidiano ha titolato “slogan del passato che non passa”, io di tutto l’armamentario dell’epoca avrei preferito che si recuperassero giusto le parole d’ordine della stagione pacifista hippy, della serie: “fate l’amore, non fate la guerra!”.

lunedì 9 luglio 2007

Folgorino

Quelli di via Sommacampagna

Marco Damilano sull’Espresso ha intervistato Sergio Mariani, il primo marito di Daniela Fini. Il colloquio ovviamente gira tutto intorno a Gianfranco Fini, alla sua carriera di politico, che da giovane militante del Fronte della Gioventù (Msi), negli anni ’70, è diventa uno dei leader nazionale del centrodestra italiano. Il racconto è un tuffo indietro nel passato, perché “Folgorino” me lo ricordo bene quando veniva sotto il Croce: era un brutto segnale. Di quel missino, ex-legione straniera e ex-paracadutista, c’era da aver paura. Mariani di strada doveva farne poca, dalla vicina sede del Msi di via Sommacampagna 29 per arrivare a scuola gli bastava girare l’angolo, e quando arrivava non veniva certo da solo. Un giorno, in mezzo a un folto gruppo di “camerati”, uno addirittura con un alano enorme, fermi ad aspettarci all’angolo tra via Palestro e via San Martino della Battaglia, c’era uno spilungone, magro, con un soprabito lungo di pelle nera. Mariani nell’intervista racconta che Fini all’epoca, siamo tra il ’73 e il ’74, vestiva in trench o con un cappotto di pelle nera. Chissà se era proprio Fini?

In quegli anni, come ricorda Mariani, c’era un clima d’odio di cui oggi non si sente nostalgia. E’ bene ribadirlo, ogni volta, a scanso di equivoci.

venerdì 6 luglio 2007

Voglia di musica

Adesso vado in giro con le cuffiette e un lettore mp3 con 5 giga di musica, ma tra gli anni '60 e '70 ho ascoltato la musica anche con un registratore Geloso, simile a questo, mi ricordo, in particolare, che avevo dei nastri di rhyntm and blues. A differenza dei nostri genitori, noi avevamo un bisogno, quasi fisico, di musica, si ascoltava con tutti i mezzi disponibili all’epoca: radio, nastri, poca Tv e tanti dischi, 45 e 33 giri. Quelli poi sono stati gli anni dei grandi concerti di massa, dove naturalmente non incontravi neppure uno con i capelli bianchi o con più di quaranta anni. Soprattutto però si suonava, se non avevi una chitarra si faceva caciara con i bonghetti.

lunedì 2 luglio 2007

Prendeva il 409 e il 66 per andare al Croce

Ricorda Eskimo...

E’ arrivato un post così significativo che merita tutta la visibilità possibile.

Sono entrato al mitico liceo Croce quando il vento della contestazione studentesca era agli inizi e dalla vicina città universitaria ci arrivavano gli echi delle lotte dei nostri compagni (1968-69). Eravamo solo dei ragazzini. Molti di noi fino ad un anno prima frequentavano ancora le parrocchie che erano gli unici luoghi dove trovare un qualcosa di “organizzato” al di là delle partite di pallone nei cortili o i giri in bicicletta intorno al palazzo e di lotta di classe ancora non ne avevo sentito parlare. Per andare al liceo prendevo due autobus: il 409 ed il 66. Ho un flashback delle prime assemblee nel nostro “garage” a cui assistevo e quelle a cui partecipavano alcuni rappresentanti degli studenti del movimento studentesco universitario. Seguivo attentamente le loro tesi, le loro proposte, il loro entusiasmo e mi avvicinai al movimento, fino a quando, prendendo coraggio presi la parola anche io. Ero comunque già “predisposto” in quanto a casa mia tutti i giorni si leggeva L’Unità e Paese Sera e l’antifascismo era considerato un valore da difendere contro gli attacchi dei reazionari e i diritti del proletariato erano imprescindibili. E così da ragazzino inesperto sono diventato un ragazzo che leggeva Marx, Lenin e il Che, cantavo l’Internazionale, Bandiera Rossa e Contessa e avevo in tasca del mio eskimo la tessera della FGCI (che non era l’iscrizione ad una squadra di calcio) ma la Federazione Giovanile del Partito Comunista Italiano. Sono cresciuto nel nome della libertà e contro l’imperialismo americano a fianco del popolo del Vietnam. Ricordo le tante volte quando andavamo a fare le assemblee al liceo Tasso e la tristezza e la rabbia quando durante una nostra occupazione, dal vicino Duca degli Abruzzi lessi stupito uno striscione che recitava “né rossi e né neri nella scuola”. Ma scavando nella mia mente tornano le immagini delle assemblee dove partecipavano i rappresentanti dei movimenti operai e i collettivi “di piano” dove mi scontravo con i genitori di alcuni studenti che non capivano le nostre idee e le nostre speranze. E come non richiamare alla memoria i cortei che partivano da scuola per aggregarsi agli altri compagni del movimento studentesco a piazza Esedra.

Quando scendevo dall’autobus 66 dovevo passare davanti a via Sommacampagna e scrutavo con attenzione se c’era qualche fascio in agguato. Si arrivava davanti scuola e prima di entrare osservavamo i due plotoni dei celerini e dei carabinieri appostati ai lati della strada aspettando gli scontri con i fascisti.

Circa 25 anni fa il destino mi ha portato a lavorare a poche centinaia di metri da via Palestro e passando davanti al nostro liceo ho visto che c’era ancora lo stesso portiere. Sono entrato e gli ho detto che ero un ex studente: incredibile ma dopo pochi minuti lui mi ha riconosciuto e ha ricordato il mio nome. Ci siamo abbracciati e ha chiamato alcune persone che ancora lavoravano là ed abbiamo ricordato i tempi passati.

Ancora oggi se passo da quelle parti il mio sguardo va su quell’edificio diverso dagli altri di via Palestro fatto di vetrate e pannelli. Oggi non c’è più il “Croce” e per me quel palazzo non è solo un palazzo, ma un posto dove ragazzi come me degli anni 70 hanno creduto e lottato per qualcosa di importante: la libertà e l’uguaglianza. Una volta, passando con la macchina, mi sono fermato e l’ho fatto vedere a mio figlio che adesso frequenta un liceo scientifico e con un pizzico di orgoglio gli ho raccontato quello che suo papà faceva alla sua età in quella fantastica via Palestro.

Eskimo

(La foto è su http://www.flickr.com/photos/costabruna, ma che fine ha fatto il vostro eskimo? Per trovarne uno che fatica)