venerdì 31 ottobre 2008

Sabato - 23 Marzo 1974 - ore 7,55.

Una storia vera
Quella che pubblichiamo è una testimonianza di un drammatico episodio accaduto 34 anni fa nei pressi del liceo Scientifico Benedetto Croce di Roma. Non fu l'unico, ma sicuramente segnò la memoria di molti studenti di quegli anni. Come tutte le testimonianze ha la capacità straordinaria di raccontare un fatto da dentro, come una telecamera che segue gli eventi senza essere piu' guidata dall'operatore. Come tutte le testimonianze fonda la sua forza nella parzialità di chi ha vissuto un evento e non pretende di essere una analisi dotta ed accademica su quegli anni. La storia è fatta di tante storie e le storie sono fatte di mille ricordi. Grazie Leo per aver condiviso con noi questa bella testimonianza. Nuvolarossa

Sabato - 23 Marzo 1974 - ore 7,55.

Sono appena arrivato in Via Marsala, proprio di fronte alla Galleria Caracciolo, parcheggio come ogni giorno il motorino sul marciapiede, tiro fuori dallo zaino la catena, mi chino per assicurarlo ad un palo. Ho appena chiuso il lucchetto che, ancora chinato, vengo colpito da qualcosa alla nuca: cado a terra e mi ritrovo circondato da sette, otto, dieci fasci che iniziano a colpirmi ripetutamente con bastoni, catene e calci. Mi rotolo a terra cercando di sfuggire ai colpi ma sono in troppi ed è tutto inutile.
Non ricordo molto di quei momenti, non i volti di chi mi colpiva, non le parole urlate, non la paura che certamente mi ha assalito, non il dolore che forse era troppo forte, ma una immagine mi è rimasta indelebile nella mente: il bianco, quasi lucente, di quei bastoni che, da qualsiasi parte mi girassi, si abbattevano sul mio corpo ad aprire ferite che forse neanche oggi, dopo tanti anni, sono del tutto rimarginate.

Ma perché quel giorno, a quell'ora ero li ?

Il 24 Marzo ricorre l'anniversario dell'eccidio delle Fosse Ardeatine; i collettivi studenteschi della scuola, per commemorare questa tragica pagina di storia italiana, avevano deciso di organizzare una assemblea antifascista con la partecipazione di alcuni vecchi partigiani dell'ANPI. L'assemblea avrebbe dovuto svolgersi nella palestra della mia scuola, il Liceo Scientifico Benedetto Croce di Via Palestro.

Che ci stavo a fare alle 8 alla Galleria Caracciolo che dalla mia scuola dista 7-800 metri ?

A quei tempi essere "di sinistra" poteva essere, purtroppo, pericoloso: molto spesso portare un eskimo, o i capelli troppo lunghi, o leggere un tal giornale poteva essere più che sufficiente per attirare su di se violenze squadriste. Molte zone di Roma ci erano interdette, altre erano "pericolose" e quella intorno alla nostra scuola era una di queste (grazie alla presenza del covo del Fronte della Gioventù di Via Sommacampagna, proprio alle spalle della scuola stessa). Nei giorni precedenti al 23 marzo erano state numerose le aggressioni, i pestaggi a compagni isolati, tanto da far maturare ai collettivi studenteschi la decisione di tentare di organizzarsi, di autodifendersi (vista anche la totale mancanza di tutele da parte della polizia) e quindi si era deciso di vedersi la mattina non sotto scuola, ma un giorno a P.zza Indipendenza, un giorno ai giardini della Stazione
Termini, un giorno, appunto, alla Galleria Caracciolo. Da qui si partiva tutti insieme, 50, 60 compagni e insieme si arrivava a scuola. La cosa ha, almeno all'inizio, ben funzionato: confidavamo molto sullo "scarso coraggio" dei fasci ad affrontarci in gruppo (loro "storicamente" hanno sempre preferito lo scontro 1 a 10....), avevamo completamente sottovalutato la loro capacità "militare" e organizzativa: hanno studiato le nostre mosse e ci hanno colpito nel nostro punto debole: per noi era impossibile arrivare all'appuntamento tutti insieme, chi arriva un po' in anticipo, chi dopo, quindi colpendo qualche minuto prima delle otto, erano certi che qualcuno avrebbero preso, e così è stato: dopo il loro "passaggio" in sette siamo rimasti per terra.

All'epoca avevo 16 anni e mezzo, vivevo in una famiglia piccolo borghese (madre casalinga, padre impiegato), tendenzialmente di sinistra (ma molto, troppo, "moderati"). Mi ero avvicinato alla politica l'anno precedente, in terza liceo non partecipando in prima persona (la gran timidezza mi ha sempre bloccato molto) ma più che altro osservando. A scuola erano molto frequenti assemblee e collettivi organizzati sia dai gruppi di sinistra che di destra (a volte, ma molto raramente, anche tutti insieme). Ho partecipato, almeno all'inizio, ad entrambi i tipi di riunioni, per capire, per decidere da che parte stare...

Non mi ritenevo ancora un militante convinto, ma un semplice simpatizzante; probabilmente ero quello che in gergo veniva definito "un cane sciolto", nel senso che ormai la scelta di campo era fatta ma quella che mancava era una giusta collocazione tra le decine di gruppi e gruppuscoli che affollavano l'area della sinistra extraparlamentare.

Quella mattina ero partito da casa, come al solito, verso le 7,30: Nomentana, Porta Pia, Via Montebello, Via Palestro; passo sotto al Croce e già vedo un paio di cose che mi avrebbero dovuto far tenere gli occhi aperti: davanti a scuola non c'erano ancora le camionette della polizia (c'erano sempre, tanto più quando si doveva svolgere una Assemblea), la via era già tappezzata di scritte del tipo "23 Marzo 1974 - B. Croce: cimitero rosso". Arrivo al semaforo tra Via Palestro e Via San Martino della Battaglia e incontro il mio compagno di banco, Giancarlo (al quale ero legato da profonda amicizia rafforzata dalla comune fede calcistica, anche se lui era dichiaratamente un qualunquista e se ne fregava di tutto ciò che era "politica") che mi chiama e mi dice " Leona' stai attento, ho visto brutte facce in giro... stai attento" e intanto un fascio "dipingeva" svastiche sui segnali stradali... ed io "... non ti preoccupare Gianchi, raggiungo i compagni... ci vediamo dopo". Riparto col motorino, raggiungo P.zza Indipendenza, al bar dove avevo il compito di telefonare a casa per avvertire che tutto era andato bene e che potevano stare tranquilli (...mia madre era agitatissima per il fatto del motorino e mi aveva "imposto" questo piccolo controllo...), poi riparto arrivo a Via Marsala e ...

... non so quanto sia durato il tutto, pochi secondi, un minuto, forse due. So perfettamente come è finito: due spari, forse una lanciarazzi, forse una scacciacani, forse una pistola: Giannetto rimane colpito di striscio alla gola, in terra, svenuto, sembra morto; l'altro per me, mi passa a pochi centimetri sulla testa, ricordo ancora la nuvoletta di fumo... forse sono vivo perché a qualcuno tremava la mano, forse è stato "un errore" volontario, questo non lo saprò mai, ma quel momento, quello sparo, ha segnato sicuramente la fine dell'aggressione e, per me, l'inizio di una nuova vita.

Mi ritrovo in ginocchio a guardare l'asfalto che si copre di sangue, del mio sangue, mi alzo subito in piedi con intorno persone che urlano, mi guardano e urlano ancora più forte. Con lo sguardo cerco qualcuno che mi conosce, vedo Marina, una compagna di Lotta Continua dalla quale compravo spesso il giornale, le urlo di non chiamare casa mia, che volevo essere io ad avvertire, altrimenti ai miei prende un colpo. Lei, mi guarda, non se se mi riconosce subito, scoppia in un pianto dirotto mentre sento che delle mani mi afferrano e mi fanno entrare su una macchina che mi accompagna di corsa all'ospedale. Le "immagini" che mi sono rimaste dentro sono quelle dei passanti che scorgono il mio volto e inorridiscono, della tappezzeria chiara della macchina che si tinge velocemente di rosso, del dito della mia mano sinistra che se ne va, spaccato da una bastonata, dove meglio crede, in modo innaturale.

Al pronto soccorso mi ricuciono (40 punti), mi fasciano, mi ingessano e mi ricoverano in accettazione, buttandomi su una barella, in una corsia con altre 50 persone. Non mi reggo in piedi, inizio ad avere dolori lancinanti alla schiena, ho il problema di dover ancora avvertire i miei, ancora non ci sono i cellulari e il poliziotto di guardia insiste per avere il numero e chiamare lui. Mi alzo, mi trascino fino al posto di guardia e li chiamo. Risponde mio padre che come mi sente subito si allarma, lo tranquillizzo e gli dico che sono in ospedale, sono scivolato dal motorino, ho un taglietto in testa ma visto che sono minorenne ho bisogno che uno di loro venga per farmi uscire. "ma come, con il motorino ?? Ci avevi telefonato dicendo che eri arrivato...!?!" E intanto sento mia madre urlare da dentro casa "Che è successo ??!?" Allora, in parte, confesso.....c'è stata una aggressione a scuola, i fascisti c'è stata una sassaiola e un sampietrino mi ha colpito di striscio....mi hanno messo tre punti, ma sto bene, non vi preoccupate...li tranquillizzo abbastanza, loro si precipitano in ospedale, peccato che come arrivano e dicono che mi cercano un fesso di portantino gli dice "... A si è quel ragazzo che gli hanno spaccato la testa e sta in rianimazione...."

Dai primi momenti la solidarietà che mi è stata dimostrata mi ha aiutato più di tutte le medicine che mi hanno iniettato..... mi stavano ancora ricucendo quando un "compagno anziano" del Croce si è precipitato su di me con le lacrime agli occhi, mi ha abbracciato con forza e quasi "stritolato" facendomi si urlare di dolore ma dandomi anche la forza di superare quei primi difficilissimi momenti. Poi, in accettazione, dopo la telefonata, subito altri due episodi: proprio mentre rientravo dal posto di guardia passa sotto le finestre dell'ospedale un corteo di centinaia di studenti che, avuta la notizia dell'aggressione, si dirigeva verso l'università per svolgere un'Assemblea antifascista e infine, una ragazza bionda, capelli a caschetto, mai vista prima, che mi è stata accanto, mano nella mano, sorridendomi dolcemente e scomparendo solo all'arrivo dei miei.

Poi il ricovero in clinica e li la solidarietà è continuata: dei compagni, alcuni che non avevo mai conosciuto, si sono alternati vicino a me, o fuori dalla stanza, per le prime due notti e, più tardi ho saputo anche il motivo vero: nel pomeriggio del sabato, la mia prof. di italiano aveva ricevuto una
strana telefonata da un tizio che aveva detto di essere il prof. di disegno che voleva sapere dove fossi ricoverato, lei non avendolo riconosciuto ha negato di sapere dove fossi e il tizio l'ha "maltrattata" verbalmente (ovviamente il prof ha negato di aver mai fatto quella telefonata). Questo episodio, aggiunto al fatto che era arrivata la voce che in ambiente Sommacampagna era stato preso come un insuccesso il fatto che non ci fosse scappato il morto, aveva fatto temere che qualche pazzo venisse a trovarmi per "finire il lavoro". E loro li a vigilare, i miei personali angeli custodi.

La domenica mattina al "risveglio" mi è successo un episodio che al momento ho sottovalutato ma che poi, con gli anni ho ricollegato come origine di tutti i miei guai alla colonna vertebrale: l'infermiera, per colazione, mi ha aperto il "banchetto" poggia vivande, vi ha depositato una tazza piena di latte e sopra un cornetto. Non sono riuscito a sollevare quel maledetto cornetto !!!! Ho provato con la destra, poi aiutandomi con la sinistra ingessata: il cornetto non si è mosso di un millimetro. Più tardi ho avuto anche la motivazione di quanto successo. E' venuta mia madre, mi voleva aiutare a lavare, mi toglie il pigiama e, dallo specchio, la vedo rimanere ferma dietro di me, che osserva il mio corpo impietrita: non c'era centimetro della mia pelle, delle braccia, delle gambe, della schiena che non fosse tumefatta e piena di lividi neri, bluastri, gialli, verdi.

Ora di anni ne sono passati più di 30.... una vita...... le ferite "fisiche"si sono rimarginate da anni..... quelle dentro di me ancora non del tutto.....

23 Marzo 1974

Spranghe di ferro, bastoni, catene mulinano,
si abbattono calci e sassate.
Ferite si aprono,
rossa è la terra.
Le mani protese a difesa son rotte.
La folla non fiata, si trae,
l'assalto è avvenuto improvviso.
Son neri di fuori e di dentro,
vigliacchi, assassini,
fascisti !

Bruno De A., mio padre

4 commenti:

Anonimo ha detto...

c'ero anche io quel giorno, come dice Leo, essendo un cane sciolto, ero già in classe. Ma il ricordo rimane indelebile, di quella giornata.

Anonimo ha detto...

Quel giorno c'ero anch'io e lo ricordo benissimo.
forse ero arrivato qualche minuto prima, a galleria Caracciolo come ormai succedeva a qualche giorno per poi andare tutti insieme verso la scuola.
ogni giorno qulcuno di noi andava avanti a dare un'occhiata per capire "che aria tirava" ed eventualmente correre indietro ad avvertire gli altri.
ma quel giorno il tempo per tornare indiettro non c'è stato.
ricordo che ero arrivato a piazza indipendenza, mi tenevo vicino alle cabine dell'atac, quelle davanti al bar, per cercare di avere sempre gente intorno. il pericolo maggiore era quello di rimanere iolato.
All'improvviso delle urla, gente che corre....
hanno sparato, hanno sparato...

Anonimo ha detto...

Mi sono diplomato nel 1971 e anche io, come te, di botte ne ho prese tante. Ricordo che anche per andare al bagno dovevamo uscire in gruppo dall'aula in quanto gli squadristi di sommacampagna entravano da un cancelletto che, come non si sa, qualcuno lasciava appositamente aperto. Spesso qualcuno usciva per andare al bagno e veniva pestato senza che nessuno se ne accorgesse. Anni difficili e pericolosi quelli, anni nei quali le forze dell'ordine intervenivano solo per attaccarci mai per difenderci.

ubik_57 ha detto...

Io sono stato più fortunato. Quando sono arrivato nel 1971-1972 la scuola era virata decisamente a sinistra. Le aggressioni avvenivano fuori anche se quel maledetto cancelletto non è mai stato chiuso definitivamente. Certo un atteggiamento più responsabile della polizia avrebbe evitato tante violenze. L'impunità della destra ha favorito la crescita della violenza a sinistra. Qualcuno ha giocato con le nostre vite.