Ho comprato il libro di Miguel Gotor che analizza con la passione e il distacco dello storico le lettere scritte da Aldo Moro durante la prigionia. Da quello che ho letto finora, è un libro che merita: non solo perché ci restituisce, dopo trent’anni, l’immagine di un uomo nella sua integrità - un padre di famiglia affettuoso e dolce prima ancora che un grande statista - che la barbarie e la crudeltà del terrorismo brigatista hanno tentato invano di annullare, così come è avvenuto con tante altre vittime del terrorismo. L’esame di quel carteggio offre inoltre un contributo innovativo alla ricostruzione di quella drammatica vicenda e, più in generale, della storia degli anni Settanta. Con poche parole, già dalla premessa, il lettore è catturato e riportato indietro nel tempo, alla notte del 15 marzo 1978, quando, dopo mesi di preparazione, prende il via “l’operazione Fritz”, il nome in codice con cui le BR hanno chiamato il sequestro Moro. Commuove l’immagine di una scena: Giovanni Moro, il figlio ventenne rientra a casa intorno alla due di notte e trova il padre ancora sveglio, assorto nella lettura di un libro, Il Dio crocefisso, di un teologo protestante. In quegli anni la sera c’era poco da fare o da vedere, sono gli anni di piombo non dimentichiamolo, Aldo Moro avrà accolto il rientro a casa del figlio con sollievo, come un padre qualsiasi. Poche ore dopo verrà rapito dalla Brigate Rosse.
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